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Da Taormina il messaggio del Papa: Ruffini e il giornalismo che ricerca "la verità con umiltà"

«La fonte per me? Sempre una persona in carne e ossa» e proprio grazie a questo “umanesimo” della notizia c’è sempre il modo di «trovare un lato positivo anche nelle situazioni peggiori». L’etica più profonda dei ragionamenti avvicendatisi nelle due giornate degli Stati generali della Parola dell'Informazione e dell'Editoria tenutisi a Taormina può dirsi compiutamente sintetizzata dalle parole di Paolo Ruffini, primo laico alla guida del dicastero vaticano nato per unificare la “voce” apostolica della Santa Sede in tutte le sue forme. Ruffini, palermitano, 67 anni, giornalista di lungo corso, dopo l’esperienza di redazione al Messaggero e la direzione del GR Rai, di Rai 3, La7 e TV 2000, nel 2018 è stato nominato da Papa Francesco prefetto del Dicastero delle Comunicazioni della Santa Sede, vertice del sistema comunicativo che ne unifica tutte le realtà.

Le parole del Papa

Ruffini ha seguito le due giornate taorminesi e il suo intenso intervento ha scandito l’evento formativo nella giornata maggiormente caratterizzata dai temi deontologici. L'ex direttore televisivo ha declinato la professione giornalistica riportando le innumerevoli citazioni che papa Francesco nei suoi dieci anni di pontificato ha rivolto al mondo della comunicazione, confermando verso esso un’attenzione speciale. Il prefetto vaticano ha ricordato la definizione di giornalista come strumento “per dare voce a chi non ha voce”, come “custode di notizie e cercatore di verità”. Una ricerca che deve essere “umile”, non perché “modesta”, ma perché non deve mai fermarsi, «non deve mai accontentarsi o cedere alla tendenza a restare in superficie, al primato della velocità che azzera il confronto e alimenta la chiacchiera». Una spirale al ribasso che “sfida”, e affida invece al giornalismo l’antico “rapporto fiduciario” sottolineando come l’art. 21 della Costituzione tutela chi informa ma anche chi sta dall’altra parte ed è titolare di un diritto di conoscenza che si può fondare solo sul pluralismo delle voci.

“Tessitura” di voci attendibili

Una “tessitura” di voci attendibili, quella delineata da Ruffini, che sarà il vero antidoto alla deriva della “compilazione senza autore”, alla quale la tecnologia rischia di esporci. «Ho sempre cercato il “miracolo” di un racconto vivo - ha ribadito - verificando una rete di informazioni affidabili. Un ruolo che richiede responsabilità più che regole, incrociando fonti, incontrando persone. Ciò sfida noi e gli editori a farlo fare e a pagare il giusto. E anche i lettori, a capire che l’informazione ha un costo».

La verità con umiltà

«La verità - ha aggiunto - richiede umiltà. Se pensiamo di sapere già tutto non facciamo giornalismo, ma propaganda. Umiltà non è non aver senso del ruolo, ma l’opposto». «A volte - ha sottolineato ancora - s’insegna che per esser bravi giornalisti bisogna essere duri, cattivi. Invece no: occorre una persona “buona” per entrare in relazione con l’altro, per capire la sua storia. Dice il Papa che se ricerchiamo la verità così troviamo in qualsiasi storia cattiva quella scintilla che può riscattarla». Nelle parole dunque la forza del cambiamento: «Tutto può essere cambiato - ammonisce Ruffini - Discutiamo di intelligenza artificiale e algoritmi ma cosa contraddistingue l’uomo? La possibilità di cambiare. L’algoritmo non è in grado di fare questo cambiamento, uno scatto di comprensione derivante dalla consapevolezza che niente è scritto per sempre».

La “missione” del Dicastero

Ruffini ha poi delineato l’impegno del dicastero vaticano nel coordinare l’imponente sistema comunicativo che parla “dal” cuore e “al” cuore del cattolicesimo. «Per il cristiano - ha spiegato - comunicare è l’essenza della fede. Si comunica attraverso la testimonianza, l’incontro. La comunicazione è missione ed è fatta di luoghi credibili che tutti dobbiamo costruire. Quello che stiamo cercando di fare è costruire una rete di comunicazione affidabile, sulla Chiesa e non solo, ma leggendo i segni dei tempi con sguardo cristiano che racconta cosa accade, con la speranza di poterlo cambiare. Come, ad esempio, se parliamo di guerra».

Il giornalismo e le parole responsabili

Le parole responsabili. Quelle che hanno una firma, il nome e il volto di chi si assume i doveri professionali di verifica e garanzia e risponde in tutte le sedi di ciò che veicola. Ecco il discrimine tra informazione e comunicazione, tra chi ha precisi obblighi deontologici e chi in nome di una sovente malintesa “libertà” di parola pensa di poter propalare sempre e comunque ogni cosa. Proprio questa linea di confine, con le sue continue rimodulazioni nel seguire l’evoluzione sociale e tecnologica dei piani di confronto, è stata al centro dell’ultima giornata degli Stati generali della Parola, dell’Informazione e dell’Editoria, l’evento promosso dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia con la Fondazione Taormina Arte e con l’Ordine nazionale dei giornalisti. Un arrivederci, quello formulato dal presidente OdG Sicilia Roberto Gueli, rispetto ad una modalità serrata di confronto a più voci che ha visto la Sicilia e Taormina (come ha sottolineato con soddisfazione la sovrintendente di Taoarte Ester Bonafede) al centro di un dibattito acceso e stringente, su una professione “necessaria” , ma quanto mai “sotto attacco” tra precariato - culturale e lavorativo - pressioni, bavagli e disintermediazione. E la difesa “di categoria” sta tutta proprio in quella semplicissima parola: “responsabilità”, quell’antico “patto di fiducia ”capace di ingenerare nel pubblico la consapevolezza della differenza e il desiderio di ricercare contenuti presso fonti affidabili, perché individuabili, attendibili, libere.

L'etica che fa la differenza

Il richiamo etico è stato il comun denominatore nel corso di tutti gli interventi susseguitisi nell'ultima giornata al palacongressi, sempre con la conduzione di Elvira Terranova e Nino Randazzo. In apertura il panel “Simboli e linguaggi della cronaca Autodispiclina e Authority”, l’ultimo dei dieci che hanno scandito la due giorni apertasi con l’inaugurazione delle mostre che ricordano Falcone e Borsellino e i giornalisti vittime di mafia.

La presenza dell’autorità regolatoria delle comunicazioni radiotelevisive, il Corecom, con il presidente Andrea Peria Giaconia (che ha ricordato la predisposizione di un “decalogo” normativo per informare meglio le aziende editoriali) e il commissario Aldo Mantineo, e dell’autorità giudiziaria, con l’intervento del gip Fabio Pilato, ha avviato il ragionamento sull’equilibrio necessario tra vincoli e libertà, tra la necessità di non limitarsi alla “tesi” (completandola con antitesi e sintesi), e l’obbligo per il professionista - sottolineato dal vicepresidente CNOG Angelo Luigi Baiguini - di mantenere uno stile in ogni contesto, anche in quello dei social personali.

Il potere delle parole

E il confronto è continuato nel successivo evento formativo deontologico sul “potere delle parole” che ha visto la partecipazione di numerosi iscritti all’ordine in presenza e da remoto. A confrontarsi, con la moderazione di Giuseppe Ardica, vicecaporedattore Rai, il presidente Cnog Carlo Bartoli, il presidente nazionale dell’Unione Stampa Cattolica Italiana Vincenzo Varagona, il prof. Fabio Rossi, docente di Linguistica italiana dell’Università di Messina, e il prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede Paolo Ruffini, che, prima dell’incontro, ha consegnato simbolicamente al presidente Gueli la lettera inviata da Papa Francesco in occasione dell’evento per i 60 anni dell’Ordine dei giornalisti, invitando professioniste e professionisti a “operare per la ricerca della verità nel rispetto della persona”.

Intelligenza artificiale, privacy e diritto d'autore

Al dibattito è intervenuto anche il direttore de Il Riformista Paolo Liguori che, così come Bartoli, ha condotto un’ampia riflessione sull’impatto degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, sottolineando come le criticità nell’impiego siano legate alla normativa del diritto d’autore e non solo alla privacy, spesso “svenduta” - ha accusato - dai titolari dei dati personali stessi. Concorde la considerazione, ribadita anche da Varagona, sulla necessità di una regolamentazione basata sulla conoscenza dei meccanismi algoritmici, piuttosto che su una “difesa” a rischio di progressiva insufficienza.

I valori della professione nell'art. 2 della legge 69/63

Bartoli, in particolare, ha voluto ribadire il ruolo sociale del giornalismo responsabile nel periodo dell’emergenza Covid, sottolineando il valore dei principi della legge istitutiva dell’Ordine e, in particolare dell’articolo 2 della legge 69/63 sulla “libertà di informazione e critica limitata dalle leggi a tutela della personalità altrui”, con l’obbligo di “rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti da lealtà e buona fede”.

La consapevolezza e il linguaggio di genere

Sul “potere” delle parole si è snodata l’analisi del linguista Unime Rossi, che ha anche accennato ai codici di autodisciplina adottati per alcune tematiche dalla categoria giornalistica non come un vincolo, ma come un positivo segno di consapevolezza. Con l’auspicio - rivolto a chi lavora ogni giorno con le parole - alla ricerca di una correttezza dell’esposizione nella sostanza e nella forma, resa concreta anche, ad esempio, con un uso “limitato” di termini stranieri e “abbondante” nel linguaggio di genere. Oggetto, quest’ultimo, come ha ricordato Rossi, di un recente parere reso su richiesta della Commissione Pari Opportunità della Corte di Cassazione dall'Accademia della Crusca, che ha invitato - negli atti giuridici e in genere delle amministrazioni, aprendo quindi ad un profondo ripensamento nel segno di un reale equilibrio di genere anche sul piano della comunicazione istituzionale - ad impiegare la declinazione femminile nelle professioni “senza esitazione”, accendendo un potente riflettore su un frequente “errore di grammatica” qual è, come ha ricordato il linguista Unime, l’appellare al maschile una donna.

Una consapevolezza “inclusiva” nell’uso delle parole che è grammaticale e sociale, essendo il linguaggio giornalistico lo specchio della linguistica d’uso comune e dovendosi fare strumento espressivo delle nuove e molto più spiccate sensibilità. Un potere “riflettente” e “modellizzante” che ne deve connotare ancor più il senso della specifica responsabilità, nel contribuire a “costruire” la storia narrandola.

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