"Un giorno troveremo un nuovo modo di vivere" dice Tony. E al suo desiderio di pace oltre l'odio fa eco il sentimento della sua Maria ("Ho un amore, ed è tutto quello che ho, giusto o sbagliato, cosa posso fare?"). New York, fine anni '50. Ma potrebbe essere una qualsiasi periferia metropolitana di oggi, con le sue baby gang che rivendicano il territorio e disprezzano lo straniero. E' questa la forza attuale, politica di West Side Story. Sembra sia stata appena scritta, sembra dirci che le cose non sono mai cambiate. Il capolavoro senza tempo che Laurents, Bernstein, Sondheim e Robbins crearono sessant'anni fa ispirandosi al Romeo e Giulietta di Shakespeare, Massimo Romeo Piparo (messinese d'origine ma ormai residente al Sistina di Roma, che dirige dal 2013) lo porterà al Teatro Antico di Taormina il 19 e 20 settembre prossimi. Una versione completamente italiana, anche i testi delle canzoni sono stati tradotti per catturare al massimo l'attenzione del pubblico. I protagonisti Luca Gaudiano (Tony) e Natalia Scarpolini (Maria), l'orchestra dal vivo diretta dal Maestro Friello, in una produzione che è «una sorta di laurea per chi fa teatro musicale".
West Side Story è un'opera a contrasto, popolare ma con una struttura lirica.
«Tra il musical e il melodramma contemporaneo, con la sublimazione della grande musica sinfonica. Conferma che l'opera è intrattenimento, i libretti sono le nostre fiction, le corti di un tempo la nostra tv di oggi. Siamo stati noi a elevare l'opera verso un'élite culturale tanto alta e da essere quasi inaccessibile. Fortuna che poi gli anglosassoni hanno saputo abbattere la cortina di ferro creando il brand "musical" e riuscendo così ad arrivare a numeri sterminati di spettatori»
In questa messa in scena qual è stata la tua scelta più coraggiosa? Qual è il confine tra la fedeltà e la libertà creativa di un regista?
«La libertà creativa del regista non deve mai ledere la libertà creativa degli autori. I registi che stravolgono dovrebbero scriversi le proprie cose invece di scardinare quelle degli altri. West Side Story è epocale, quindi pensare che arrivo io oggi e lo destrutturo lo vedo un po' presuntuoso. Oltretutto lo spettatore compra un biglietto perché vuole venire lì e calarsi dal vivo in un'atmosfera che lo riporti a quel ricordo. E io perché lo devo deludere?»
Cosa troverà dunque lo spettatore?
«La New York del '50, ferro e legno grigio come la vita in quegli anni, nonostante fosse un dopoguerra di speranze e di rinascita. Si troverà in mezzo alla cruda strada, nelle borgate, tra rapporti giovanili fatti sì di divertimento, ma anche di lotta"»
Riesci ad astrarti dal tuo ruolo di regista e a guardarlo da spettatore questo spettacolo?
«Lavoro proprio in quella direzione, mi costringo a farlo. La mia frase tipica è "noi non facciamo testo". Se applicassimo il nostro gusto a quello che mettiamo in scena, ci allontaneremmo dall'80 % del gusto del pubblico, che non è calato come noi notte e giorno in quello che facciamo. La gente conduce la propria vita tra un casino e l'altro. E poi la sera viene a godersi un paio d'ore del nostro lavoro»
E tu invece quando non sei in teatro dove sei?
«In barca a vela. La mia è una passione sportiva, faccio regate. Sono nato con mare e vento, non avevo alternative»
Massimo Romeo Piparo - Teatro Sistina da binomio è diventato sinonimo. L'Accademia è il tuo fiore all'occhiello.
«Oggi si dice il Sistina di Piparo, è bello quello che siamo riusciti a creare. L'Accademia del Sistina è nata dieci anni fa, mentre facevo Billy Elliot, che la storia di un ragazzino che sogna di diventare ballerino ma non ha gli strumenti. Mi ha fatto ricordare me da giovane, in una città di periferia dell'estremo sud, me che i mezzi me li sono dovuti andare a cercare nel continente. Me che dopo 32 anni di lavoro avevo un dovere. Coltivare un vivaio, giovani da crescere non solo come professionisti, soprattutto come appassionati. Noi prima di tutto speriamo di creare un nuovo pubblico, perché la passione si contagia»
Nella tua carriera c'è stata anche una parentesi al Vittorio Emanuele, cosa ti farebbe ritornare?
«La mia storia con Messina c'è stata. Bella, brutta, tra alti e bassi, scontri e confronti, non rimpiango né rinnego nulla. Antonio Barresi, allora presidente, mi volle fortemente, mi chiese di fare a casa lo stesso che stavo facendo altrove. Dopo non ho mai più avuto nessun tipo di sintonia. L'unico rapporto professionale a Messina lo tengo con Lello Manfredi, che ancora insiste per mantenere nel territorio questo baluardo di cultura nazionale. Da spettatore lontano vedo che la città in questi anni non ha colto molte opportunità, mantenendo il suo teatro come una roccaforte locale non ha mai voluto guardare oltre, si è involuta. Forse, invece, a Taormina qualcosa si muove»
"Maria", grida Tony prima di morire. E' l'ultima parola, è un richiamo. A Taormina, tra il golfo che incontra la Montagna e mondi che non si incontreranno mai... "c'è un posto per noi".
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