Privacy Tour a Messina, Camisani Calzolari: "Necessario fare ancora tanto sui nostri dati sensibili"
Marco Camisani Calzolari è un pioniere della comunicazione sul web. Dal 1993 lavora nel mondo della comunicazione, analizza i pericoli della rete, studia i fenomeni che riguardano l’innovazione digitale e oggi, al Teatro Vittorio Emanuele, porterà la sua esperienza legata anche all’intelligenza artificiale ma non solo. Perché legato al tema dell’IA c’è anche quello della privacy. «È un momento in cui la percezione della privacy ancora non è adeguata, soprattutto tra i giovani. È, quindi, necessario far capire quanto sia importante, è un tema apparentemente leggero, che molte volte si fa rientrare tra quelli legati alla prevenzione e noi umani tendiamo a dare poca importanza alla prevenzione. È un bug, come i computer. Noi umani abbiamo questo bug e siamo bravissimi, poi, a occuparcene… dopo. Ecco perché ci sono eventi come questo, per sensibilizzare le persone ed in questo caso i giovani, le aziende, le famiglie sul fatto che la privacy, oggi e mai come oggi, è importante. Soprattutto con l’avvento dell’intelligenza artificiale che, alla fine, tutti i nostri dati ovvero quelli che produciamo ogni giorno, finiscano dappertutto e vengano elaborati con velocità che non si erano mai viste». Possiamo dare un valore alla privacy? «Ci sono almeno due aree importanti. Quella in cui si danno volontariamente i dati in giro e purtroppo accade spesso, soprattutto tra i giovani. Pensiamo alle piattaforme social, dove pubblicano cose che rimarranno lì per sempre e magari non lo sanno. Poi c’è un altro aspetto, legato alla sicurezza informatica e quando i dati vengono, invece, rubati. Un fatto è certo, oggi la nostra vita passa tutta dal digitale quindi la privacy sul digitale è importante come altri pilastri della nostra vita fisica». È come quando in casa alle finestre ci metti le tende, sul web? «Sul web, innanzitutto, bisogna prestare attenzione. Sono quelle le nostre tende online. Perché la parte più debole di un sistema informatico è tra la tastiera e la sedia, quindi siamo noi uomini, persone, esseri umani. Poi dobbiamo usare gli antivirus, software adatti e preoccuparci che i social network, quando pubblichiamo, ci permettano di pubblicare solamente informazioni che possano vedere quelli che sono i nostri amici e non tutti». Nel suo ultimo libro, si è domandato se l’intelligenza artificiale può sostituire l’umano. «Si chiama “cyberumanesimo” e parla di quanto l’umano è importante. È un libro un po’ filosofico sul mondo digitale e, nella fattispecie, sull’intelligenza artificiale. L’uomo deve rimanere al centro. Siamo di fronte, tra le tante domande che ci facciamo, a quella più importante e cioè non solo se l’intelligenza artificiale sostituirà l'uomo ma se ci porterà via il lavoro». La dobbiamo vedere quindi come qualcosa che ci penalizzerà? «Nel medio lungo termine, come tutti gli strumenti, compresi quelli digitali, si hanno dei pro e dei contro. Pensiamo a un coltello, ci puoi tagliare le verdure, ma anche uccidere una persona. Anche per quelli virtuali si tratta di saperli usare nel modo corretto. Con il digitale puoi fermare una centrale nucleare e creare danni enormi o creare nuove opportunità di lavoro per i ragazzi. Insomma, bisogna saperli usare nel modo corretto ma per farlo ci vuole una cultura adeguata». A proposito di social network, c’è un loro utilizzo da parte anche di una fascia di età molto bassa. «I social network sono vietati sotto i 14 anni, i ragazzi più piccoli non potrebbero avere un account. Spesso, però, ce l’hanno anche con la complicità della famiglia, perché non ci si rende conto di quanto possano essere pericolosi. Il lavoro che si fa in occasioni come queste, che faccio in televisione, è proprio quello di sensibilizzare ad un uso corretto. Vorrei che ci fossero tanti divulgatori perché siamo troppo pochi ed è necessario che ci siano per aiutare le famiglie a capire questo». Come sensibilizzare, allora, i giovani? Attraverso le famiglie? «Vorrei vedere la scuola adoperarsi per questo perché la scuola è preposta a fare questo. Ma la scuola è rimasta molto indietro. Si potrebbe, per esempio, introdurre programmi alternativi. È difficile riformare la scuola, me ne rendo conto, ma si possono inserire programmi di supporto. Penso magari ad una materia come “cultura digitale” che è ampia, spazia dalla sicurezza informatica alla consapevolezza, il pensiero computazionale, imparare a pensare con gli operatori logici anche se non poi non si diventerà informatici. Comprendere dal punto di vista della comunicazione tutto quello che tocca oggi la vita digitale di un cittadino».